Il racconto della Bibbia

La Bibbia tramandata dal racconto orale.

Il racconto orale è presente in tutta la Bibbia, sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento. Esso è stato, fin dall'inizio, lo strumento privilegiato per la trasmissione della fede, usato anche da Dio per narrare la meraviglia delle sue opere.

La narrazione orale è stata poi usata con sapienza da Gesù, che ne ha impiegato le possibilità per provocare stupore o emozione, per toccare il cuore degli uomini e arrivare infine a cambiare la vita delle persone.

«La narrazione orale nell'Antico Testamento

Nell'antico Israele il libro era un oggetto straordinario, considerato con timore reverenziale, a cui il popolo non poteva accostarsi se non attraverso la mediazione di un dotto che conosceva la scrittura. D'altronde la scrittura stessa della Bibbia avvenne piuttosto tardi rispetto alla nascita delle tradizioni orali che, per molti secoli, conservarono e tramandarono i racconti della creazione del mondo, della nascita del popolo di Israele, dell'alleanza con Dio e dell'esperienza di liberazione dalla schiavitù.

La cultura orale all'interno della tradizione ebraica è fondamentale: la stessa professione di fede, lo sh'ema Israel, è basata sul racconto, che diventa lo strumento privilegiato per la conoscenza di Dio. In essa si legge:

«Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti dò, ti stiano fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte».

È qui evidente la funzione del racconto ed è ancor più affascinante pensare che è Dio stesso ad ordinare agli uomini di "narrare le sue meraviglie"; con una particolare attenzione ai figli, in una prospettiva di trasmissione della fede.

Ma Dio non si limita a suggerire agli uomini di raccontare, per far giungere a tutti il suo messaggio. Spesso, nella Storia, è Dio stesso che si rivolge direttamente agli uomini in una relazione dialogica. Dio parla ad Adamo ed Eva nel giardino; spiega a Noè in dettaglio ciò che deve fare; chiama Abramo e lo esorta a partire, discute con lui sulla salvezza di Sodoma, disputa con Giacobbe, racconta a Mosè ciò che ha fatto per il suo popolo. Più tardi Dio parla per bocca dei profeti, fino a mandare il proprio figlio a parlare per le strade della Galilea. Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe non è un Dio che se ne sta isolato nell'alto dei cieli; è un Dio che parla agli uomini, che si arrabbia, che li ammonisce, che li perdona, che li accoglie e che narra a loro le meraviglie del creato.

La narrazione orale è stata un elemento fondamentale nella storia del popolo di Israele. La tradizione di narrare, in casa e nelle sinagoghe, la storia sacra è testimoniata lungo tutta la storia del popolo ebraico e credo si possa affermare che il forte radicamento nel passato sia stato uno degli elementi che hanno permesso al popolo dell'alleanza di sopravvivere, mantenendo una propria identità, anche in mezzo ad eventi e trasformazioni che più di una volta hanno rischiato di annientarlo o, perlomeno, di mescolarlo alle altre genti.

Il Vangelo orale

Quando parliamo della primissima ecclesia cristiana facciamo riferimento ai discepoli di Gesù, ovvero ad una comunità formata esclusivamente da ebrei. Avevano quindi, nel proprio patrimonio culturale e cultuale, una spiccata predisposizione alla narrazione orale. In questo contesto capiamo anche meglio la funzione che ebbe la trasmissione orale della fede nei primi decenni dopo la morte di Gesù.

Dal 30 al 65-70 d.C. nelle comunità dei primi cristiani la trasmissione della fede avvenne esclusivamente attraverso la narrazione orale della vita e dell'insegnamento di Gesù. La preoccupazione di mettere per iscritto le sue parole o gli eventi che lo avevano visto protagonista era ampiamente superata dall'urgenza di diffondere più in fretta possibile il suo annuncio, in attesa dell'imminente parusia. Non vi era tempo da perdere nella stesura scritta di ciò che andava annunciato; l'universalità del Vangelo esigeva una predicazione veloce, che potesse raggiungere il maggior numero di persone nel minor tempo possibile. La fine dei tempi, attesa imminente dopo la risurrezione del Cristo, non avrebbe risparmiato i libri, che dunque era inutile scrivere. Chi aveva visto e sentito Gesù raccontava ciò che di lui aveva sentito e visto. E chi udiva la lieta novella dalla voce dei testimoni diretti diveniva a sua volta testimone, in una catena di tradizione orale che andava consolidandosi ...

Solo in un secondo tempo i racconti hanno cominciato ad essere messi per iscritto e le prime raccolte presinottiche, suddivise in quelle che sono anche le principali linee narrativo-teologiche, sono tre: il racconto della passione-risurrezione, i detti del Signore, i fatti della vita di Gesù. Fra i detti del Signore un posto particolarmente interessante, dal punto di vista narrativo, occupano le parabole».

Estratto dal lavoro di tesi di Luciano Gottardi sulla narrazione biblica. 

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